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(Download) "Le piogge del Cònelant" by Alessio Niccolai ~ eBook PDF Kindle ePub Free

Le piogge del Cònelant

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eBook details

  • Title: Le piogge del Cònelant
  • Author : Alessio Niccolai
  • Release Date : January 06, 2016
  • Genre: Epic,Books,Sci-Fi & Fantasy,Fantasy,
  • Pages : * pages
  • Size : 79879 KB

Description

«Le Piogge del Cònelant» è il primo libro di una tetralogia di genere fantasy partorita dal genio creativo del M° Alessio Niccolai, musicista-compositore e - a questo punto - anche autore letterario.

Un’oscurità dilagante e capace di travalicare i confini di un inedito spazio-tempo, si impadronisce dell’immaginario di un mondo - quello appunto del Cònelant - già imperiosamente punteggiato della sua connaturata follia.

Attraverso una pangea capace di trasfigurare i luoghi più cari all’autore (buona parte della sua Toscana Occidentale, l’intera Occitania francese, di Ladinia, del Cuzco peruviano, di Irlanda, Scozia, Grecia e vari altri luoghi assemblati fra loro come tessere rimescolate di uno strano mosaico) e calarli in un redivivo Medioevo, le vicende di alcuni personaggi si intrecciano fra loro per costituire quelle di consorterie più grandi e determinare l’esito complessivo del mondo che rappresenta.

Ed il rapporto fra la storia dei viventi e la loro capacità di modificarla, di imprimerle un certo corso piuttosto che un altro - magari fatalmente predeterminato - è al centro di una narrazione equivocamente duale, enigmaticamente protesa a pontificare intorno ai più consolidati paradigmi del fantasy, lasciando tuttavia il lettore nel dubbio sulla reale adesione del romanzo ad essi.

Teoria del Caos, sillogismi dell’assurdo, poesia neo-classica, distorsione onirica si stagliano sullo sfondo di un intreccio di vicissitudini - a loro volta tessere di un mosaico più grande - che i personaggi avvertono giocate intorno alla contrapposizione fra bene e male, ma che in realtà sembrano nascondere intenzionalmente livelli assai meno sovrannaturali di quanto non lascino intendere.

Un romanzo - come lo stesso autore tiene a sottolineare - concepito per costituire i presupposti spazio-temporali di un ciclo già costituito nella sua testa e già progettato come tetralogia: una narrazione - potremmo efficacemente dire - storico-geografica, in una singolare scelta stilistica nel delicato compito di indurre il lettore - attraverso la canonica caduta del principio di realtà tipico del genere - a riversare la propria esistenza tra i meandri di questo mondo, omogeneamente distribuito fra la superficie “terrestre”, le sue cavità endogee ed il suo sovrastante etere.

Vi si mischiano insieme immaginari totalmente eterogenei tra di loro, dalle leggende locali del Sud della Francia all’oltretomba celtico (il leggendario «Tír na nÓg»), dall’epica norrena alla mitologia greca, dall’epopea templare alle vicende cataro-albigesi, dalle segrete tradizioni gitane all’irruente quintessenza piratesca seguendo immancabilmente lo schema dell’allegoria - in particolare toponomastica -, fino alla battaglia finale (non l’«Armageddon» della costituenda saga, prevedibilmente collocabile nei paraggi della città che l’autore rappresenta come la sua Pisa) ordita, manco a dirlo, presso la fedelissima trasfigurazione di Carcassonne, località crocevia fra cultori del fantasy, appassionati di storia, irredenti occultisti, ricercatori insaziabili e inguaribili appassionati di mistero.

La fitta trama di “regole di ingaggio” nascosta tra le righe della narrazione, ha indotto l’autore a sperimentare con successo un intrigante e avvincente gioco di ruolo estemporaneo, basato proprio sulla saga del Cònelant.

La personalità letteraria del romanzo, che tradisce sicuramente la lettura di tanti capisaldi del genere fantasy - da J.R.R. Tolkien a H.P. Lovecraft, da G.R.R. Martin a T. Brooks - non si risparmia neanche orientamenti e suggestioni come quelle del Nome della Rosa di U. Eco, lo zelo investigativo di Sherlock Holmes di A.C. Doyle, l’ammirazione per le variopinte tradizioni gitane, nativo-americane e tuareg, un’impenitente omogeneità con le vicissitudini di Dylan Dog di T. Sclavi e una passione viscerale per la parabola freudiana.

Una struttura dialogica onnipresente rende la lettura discretamente affine ad un’esperienza cinematografica, forte delle non rare puntate dell’autore verso una sensorialità estrema - figlia evidentemente del suo immaginario creativo-musicale - e di intricate alchimie simbolistiche applicate ad un immaginario piuttosto sanguigno, carnale e minuzioso nella ricostruzione storica, nelle occasioni abbia ritenuto di dover soggiacere più fedelmente alle regole di questa piuttosto che a quelle della fantasia.

Un fantasy - nel suo complesso - epico che già all’esordio della saga cui intende dare origine si presenta non immune dalle contaminazioni del giallo, del gotico, del noir e dell’erotico - non di rado - esplicito, costruito con una forte propensione e vocazione letteraria - manifesta in particolare nell’invocazione dei sortilegi attraverso una lirica in metrica classica e rima baciata - cui vanno ad assommarsi una certa teatralità complessiva ed una spasmodica ricerca semiotica, perpetrata mediante l’uso nel discorso diretto di alcune espressioni del latino maccheronico o dell’italiano più arcaico, e raccogliendo qualche modesta eredità dalla fantascienza oltreché una certa consequenzialità dai generi diletti a E.A. Poe, a E.T.A. Hoffmann, ad A. Boito ed un’influenza notevole dai cicli arturiani.

Incisiva anche l’ispirazione musicale sul complesso narrativo: se da una parte l’autore si lascia andare all’uso di qualche espressione tipica del canzoniere di F. De André, dall’altra - in maniera decisamente meno evidente se non all’occhio del critico e/o dell’esperto musicale - i costrutti simbolici e/o linguistici sembrano trasudare a fasi alterne l’assordante enigmaticità di G. Puccini in Turandot, la prorompente e rivoluzionaria polifonia vocale di L.V. Beethoven nella IX Sinfonia “Corale”, la struggente e lisergica schizofrenia dei Genesis in The Knife, la soprannaturale solennità di R. Wagner in Tannhäuser, la drappeggiante e misurata marzialità di E. Elgar in Pomp and Circumstances, l’incantata ed evocativa malinconia di E. Morricone in Once upon a time in the West, la colta, raffinata e irriverente sofistica di F. Battiato in Temporary Road, la virale e angosciante inquietudine dei Goblin in Profondo Rosso, il ruvido e straripante virtuosismo degli E.L.P. in Tarkus, la fluttuante ed irresistibile sensualità dei Pink Floyd in High Hopes.

Come nella migliore tradizione fantasy, il primo tomo dedicato alle vicissitudini del Cònelant non si fa mancare un suo bestiario - composto da enormi lupi incantati, da grandi orsi-custodi, da venefici urobori, da curiose civette, da imponenti semi-demoni ipogei e leggendari giganti, oltreché da strane creature mutanti e particolarmente nefaste, e da bonarie varietà equine volanti - ed un paio di peculiari declinazione di pestilenziali degenerazioni umane, avvinte da pessime virtù sortileghe, a metà fra i non-morti sfuggiti al Necronomicon di H.P. Lovecraft e i non-vivi alla stregua del Dracula di B. Stoker.

Oggetti magici - o ritenuti tali - consegnati al presente della narrazione da un’antichità primordiale armoniosa e dimenticata, una misteriosa mappa - un oggetto quasi vivo - che parrebbe voler travalicare i limiti del romanzo stesso proiettandosi nei suoi presunti sequel, premonizioni oniriche pendenti sui destini di un’umanità perennemente esposta ad una fragilità parto della sua stessa follia, profezie ambigue e non esaustivamente decifrabili lasciate in dote da un passato tanto remoto quanto contiguo per causalità, un incedere del tempo piuttosto capriccioso.

A governare gli eventi la nascente élite di un poderoso sodalizio clandestino votato alla salvezza del mondo e contrapposto - secondo uno schema apparentemente manicheo - alla sua letale antitesi e - finalmente - da un misterioso ed ambiguo personaggio che l’autore ha preteso affine - per certi versi - al Druido di Shannara di T. Brooks, per altri al più meticoloso e pseudo-razionale “indagatore dell’incubo” che T. Sclavi abbia regalato ai suoi lettori italici, per altri ancora a “Gandalf, il Bianco”, nume tutelare della “Terra di Mezzo” di J.R.R. Tolkien: uno strano condottiero dalle grandissime doti intellettive, dalla conoscenza pressoché infinita, dalla ragione inoppugnabile e dalla capacità di governare gli eventi, pronto ad illuminare i suoi pari con straordinarie perle di saggezza e/o a guidarli attraverso le imprese più disperate e incerte; un uomo che, avendo avuto il privilegio di incrociare Zenone di Elea si sarebbe spinto finanche a cercarne e trovarne soluzione per i celeberrimi paradossi, ma destinato a dover concedere l’ultima parola all’ironia della sorte.

Un imperdibile romanzo per un pubblico dai 15 anni agli 80.


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